giovedì 7 febbraio 2013

Akh Tamar, un grido lungo un lago (part.4)




Ci rimane l'ultimo giorno a van, la persona che ci ospita è risultata essere effettivamente una brava persona, parla inglese e ha 2 figli a cui lo sta insegnando, ma da quando ha divorziato vive da solo in casa.
L'appartamento è pulito, ordinato e ben arredato, dotata di tutti i confort, si nota subito la differenza tra questa e quelle in cui abbiamo dormito nei giorni precedenti, privi di riscaldamento o acqua calda e decisamente vuote e impersonali.
Dopo una buona dormita decidiamo di andare direttamente al lago, su un' isoletta vicino la costa.
Facciamo un veloce autostop fino alla sponda da cui partono le barche, piove ma andiamo lo stesso e con nostra grande gioia durante il viaggio le nuvole si diradano, si fanno spazio tra di esse caldi e dorati raggi di sole che a poco a poco illuminano a chiazze il paesaggio circostante e che delineano, proprio sopra il lago, un enorme arcobaleno.
L'isola si chiama Akdamar e il nome si dice derivi dalla leggenda che circola attorno all'isola.
'' Secoli fa il sacerdote della chiesa e sua figlia Tamar vivevano su quest' isola, un giorno la principessa si innamorò di un pescatore che ogni tanto sostava sulla costa, l'amore fu reciproco e ogni notte quando la principessa era sicura che nessuno la vedesse, accendeva una candela e poggiandola sugli scogli dava il segnale e allo stesso tempo segnalava la posizione dell'isola nel lago buio all'amato per permettergli di raggiungerla a nuoto, ogni notte, per consumare il loro amore.
Non ci volle molto a che il padre scoprisse la relazione segreta,
e in una fredda notte d'inverno senza luna,  il sacerdote andò a prendere la figlia proprio mentre lei, con la fiammella, segnalava la sua presenza al pescatore, il genitore spense la candela e portò di forza la figlia dentro facendo perdere ogni punto di riferimento al marinaio che si trovava ancora in mezzo al lago, il freddo e le onde fecero il resto sfiancando e congelando il suo corpo, ma prima di morire urlò:
"Akh, Tamar" (Oh, Tamar) un suono che arrivò in ogni sponda del lago, mentre il suo corpo scompariva per sempre tra i flutti del lago.''

l' isoletta di Akdamar è dominata dalla chiesa armena della santa croce, costruita intorno il X secolo era una delle chiese reali del vecchio e grande impero armeno a cui un tempo apparteneva anche il lago di van.
la cattedrale è piccola ma bellissima,  interessanti i numerosi rilievi che sorgono sulle sue mura e gli affresci ormai quasi completamente cancellati al suo interno.
E' circondata da vecchie lapidi decorate e incise usurate dal tempo, il tutto reso fiabesco dal paesaggio che circonda l'isola, un posto che difficilmente dimenticherò.
Per il ritorno, sulla terraferma troviamo lo stesso uomo che ci accompagnò dalla città a li e che ci aveva dato apuntamento un' ora dopo circa, per ritornare con lui.
 andiamo con lui che nel frattempo devia e ci fa pure ammirare la buffissima statua del mostro del lago di van.
Nonostante tutto quello che abbiamo passato questa gente continua ancora a stupirci.
Grazie a quest'uomo ritorniamo in città che è ancora giorno, abbiamo tempo per un'altra passeggiata.
Andiamo a vedere l'ulu cami (la moschea principale) grande e con i muri incrinati, immagino dal terremoto. intere lastre di marmo che la ricoprivano saltate via, dentro un enorme tappeto (come in tutte le moschee) ricopre il pavimento, infatti prima di entrare in queste strutture bisogna togliersi le scarpe e sistemarle in appositi scaffali posti fuori l'ingresso.
Luoghi grandi e spogli, a volte tristi a volte semplicemente ''essenziali'' ridotte all'osso al loro interno non c'è niente, nessuna distrazione a cui possa aggrapparsi la fede, non simboli, non statue, nè altari, nè decorazioni, solo una stanza enorme e vuota che impone la sua grandezza.

In fondo è questo l'islam, fede cieca, niente santi, niente, niente preti, qui ci sei solo tu e Lui, un Dio a cui non si cofessa nè chiede nulla, un rapporto diretto per un credo puro che non ha bisogno di nient'altro se non di cieca fede.

Domani partiremo per ritornare a Gaziantep, faremo una fermata a Mardin per la notte e poi da li diretti a casa, è in questa tratta che conosco un camionista curdo che dice di far parte del PKK, mi parla di Ocalan, e mi mostra sul telefonino il video di un cadavere, probabilmente un militante, a terra, sanguinante, circondato da soldati turchi che entusiasti tengono a filmare la scena col cadavere.
Quante guerre e quanti morti dovrà vedere ancora questa terra?

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