martedì 26 febbraio 2013

Dal deserto dell'Anatolia alle coste del Mar Nero, la Turchia tagliata in due


Una settimana per riposarci (e lavorare) dopo il viaggio a Van e prepararci per una meta ancor più lontana: la Georgia.


Andiamo per il compleanno di Bondo (il ragazzo georgiano che viaggia con noi) vuole festeggiare a casa con la famiglia, noi gli faremo compagnia condividendo gioie e fatiche che inevitabilmente proveremo durante questo viaggio.
Ci aspettano 1.200Km di strada da attraversare in Autostop, per intenderci; è all' incirca come percorrere in auto Reggio Calabria - Milano o se vogliamo, in linea d'aria è la distanza che separa Roma da Parigi.
Appena fuori città, all'imbocco della strada principale, dove di solito iniziamo, il primo mezzo che ci carica è un trattore agricolo, il primo di una serie di strani mezzi con cui viaggeremo. La prima tappa che ci prefiggiamo di raggiungere è Nemrut, un sito archeologico sulle montagne della provincia di Adiyaman, il piano è arrivare al vicino villaggio di Kahta e da li proseguire verso le montagne, il piano riesce per metà, arriviamo alle pendici del monte in cui si trova Nemrut ma non riusciamo ad andare oltre, impensabile anche andare a piedi, con il sole che cala velocemente aspettiamo ore in vano che una macchina passi da li.

Con il buio e lo sconforto decidiamo di tornare indietro al villaggio, con la torcia illumino i miei compagni che fanno autostop ai bordi di una strada buia, si ferma un camion carico di operai in compagnia di una nostra vecchia conoscenza: un ragazzo di Ankara incontrato settimane prima ad Antep, adesso è in compagnia di un Singaporegno, anche loro con in progetto il giro della Turchia in autostop, questo incontro ci tira su di morale, vedere un viso conosciuto in condizioni del genere è sempre un conforto per il cuore e per la mente, soprattutto quando scopriamo che siamo ospitati dalla stessa persona e che quindi passeremo la notte insieme.
M
angiamo un ottima merçimek çorba (zuppa di lenticchie), per poi andare a letto presto, domani all'alba ricomincia il viaggio, ma ognuno andrà per la sua strada, noi a nord verso la Georgia, loro a sud verso la Siria.
Dopo aver attraversato Adiyaman e Katha il primo giorno, il nostro obiettivo è andare più velocemente e  lontano possibile, sperando di arrivare addirittura a Trabzon, ma come ieri, il nostro piano di viaggio risulta essere inadeguato ai fatti, in questa parte della turchia non ci sono autostrade, le zone sono battute dai militanti del PKK e le città che riusciamo a percorrere sono Malatya, Elazig e Tunceli più i paesini che vi sono in mezzo.
La gente è spaventata e i posti di blocco militari sono a decine, aspettiamo ore ed ore dentro le città sperando che qualcuno si fermi, la stanchezza ci assale ma non possiamo fermarci, i primi dubbi sulla fattibilità del viaggio iniziano a farsi spazio e si inizia pure a considerare l'opzione di tornare indietro, è in questo momento che si ferma un carroattrezzi del soccorso stradale che da vero soccorritore ci accompagna fino alla tappa successiva, prendiamo tanti mezzi fino ad arrivare, col buio, ad un posto di blocco militare in mezzo ai monti, i soldati ci dicono di no.
I soldati di guardia sono ragazzini, uno viene da Istambul il suo compagno da Izmir (Smirne), sono stati mandati lì tra le montagne nel cuore della turchia a combattere i curdi,  fa freddo e si riscaldano con del çay che condividono con noi, alla fine riusciamo ad arrivare a Tunceli in nottata, decidiamo di fermarci lì per la notte e iniziamo l'autostop per entrare in città, questa volta a fermarsi è un camion dell'immondizia che ci carica (nell'abitacolo) per portarci in centro.
I prezzi negli hotel sono uguali e troppo alti per noi, i posti nella casa dello studente (qui chiamata casa dell'insegnante) invece tutti occupati, decido allora di provare a contrattare nel primo hotel in cui eravamo entrati, riesco a farmi fare un piccolo sconto, accettiamo, doccia e poi a letto, domani si riparte all'alba.
Gli appunti di viaggio dicono:  
''Adiyaman - Tunceli 5/6 nov.2012
Abbiamo impiegato un giorno intero per arrivare, le macchine non si fermano, le persone non si fidano.
''


Al sorgere del sole ritorniamo sulla strada per Erzincan, ormai sconfortati e senza programmi per il giorno che viene, soltanto la speranza di arrivare a destinazione, ma senza troppe aspettative.
Un po' più in là un altro posto di blocco, anche qui pensano loro a fermare i veicoli per noi, ma nessuno va verso la nostra direzione. 
Un soldato in borghese ci dice che qui ci sono frequenti attacchi terroristici da parte del partito comunista curdo PKK vantandosi di averne uccisi 4 pochi giorni prima.
I paesaggi sono bellissimi, decidiamo di salire su una macchina che percorre poco più di una 15ina di Km, ma meglio che rimanere bloccati al presidio militare, luogo sicuramente più pericoloso.


Per ore siamo rimasti bloccati su stretti sentieri tra le montagne, sulle rive di fiumi o in strade a strapiombo su profondi burroni, Paesaggi fantastici in questa parte di Turchia, soprattutto con l'avanzare dell'autunno che colora tutto e dà vivacità ai boschi che diventano man mano più fitti verso nord. 
Una piccolissima cittadina sulle montagne, ancora ferma nel tempo da cui ammirare paesaggi fantastici è Pülümür, dalla strada principale su una montagna si legge scritto ''Ne mutlu Turkum diyene'' felice colui che può dirsi turco,  non è la prima volta che lo vedo, questa frase è ricorrente in molte montagne in regione curda e penso a quanto dev'essere stressante esser curdi in un paese in cui la propaganda turca è ovunque, in cui anche le montagne ti ricordano che sei diverso e che questa terra che ti era stata promessa adesso ti è nemica e si prende gioco di te, sicuramente non è la maniera migliore per attenuare gli scontri, fin quando si giocherà a braccio di ferro, in questa regione ci sarà solo sangue, violenza e paura. 

giovedì 7 febbraio 2013

Akh Tamar, un grido lungo un lago (part.4)




Ci rimane l'ultimo giorno a van, la persona che ci ospita è risultata essere effettivamente una brava persona, parla inglese e ha 2 figli a cui lo sta insegnando, ma da quando ha divorziato vive da solo in casa.
L'appartamento è pulito, ordinato e ben arredato, dotata di tutti i confort, si nota subito la differenza tra questa e quelle in cui abbiamo dormito nei giorni precedenti, privi di riscaldamento o acqua calda e decisamente vuote e impersonali.
Dopo una buona dormita decidiamo di andare direttamente al lago, su un' isoletta vicino la costa.
Facciamo un veloce autostop fino alla sponda da cui partono le barche, piove ma andiamo lo stesso e con nostra grande gioia durante il viaggio le nuvole si diradano, si fanno spazio tra di esse caldi e dorati raggi di sole che a poco a poco illuminano a chiazze il paesaggio circostante e che delineano, proprio sopra il lago, un enorme arcobaleno.
L'isola si chiama Akdamar e il nome si dice derivi dalla leggenda che circola attorno all'isola.
'' Secoli fa il sacerdote della chiesa e sua figlia Tamar vivevano su quest' isola, un giorno la principessa si innamorò di un pescatore che ogni tanto sostava sulla costa, l'amore fu reciproco e ogni notte quando la principessa era sicura che nessuno la vedesse, accendeva una candela e poggiandola sugli scogli dava il segnale e allo stesso tempo segnalava la posizione dell'isola nel lago buio all'amato per permettergli di raggiungerla a nuoto, ogni notte, per consumare il loro amore.
Non ci volle molto a che il padre scoprisse la relazione segreta,
e in una fredda notte d'inverno senza luna,  il sacerdote andò a prendere la figlia proprio mentre lei, con la fiammella, segnalava la sua presenza al pescatore, il genitore spense la candela e portò di forza la figlia dentro facendo perdere ogni punto di riferimento al marinaio che si trovava ancora in mezzo al lago, il freddo e le onde fecero il resto sfiancando e congelando il suo corpo, ma prima di morire urlò:
"Akh, Tamar" (Oh, Tamar) un suono che arrivò in ogni sponda del lago, mentre il suo corpo scompariva per sempre tra i flutti del lago.''

l' isoletta di Akdamar è dominata dalla chiesa armena della santa croce, costruita intorno il X secolo era una delle chiese reali del vecchio e grande impero armeno a cui un tempo apparteneva anche il lago di van.
la cattedrale è piccola ma bellissima,  interessanti i numerosi rilievi che sorgono sulle sue mura e gli affresci ormai quasi completamente cancellati al suo interno.
E' circondata da vecchie lapidi decorate e incise usurate dal tempo, il tutto reso fiabesco dal paesaggio che circonda l'isola, un posto che difficilmente dimenticherò.
Per il ritorno, sulla terraferma troviamo lo stesso uomo che ci accompagnò dalla città a li e che ci aveva dato apuntamento un' ora dopo circa, per ritornare con lui.
 andiamo con lui che nel frattempo devia e ci fa pure ammirare la buffissima statua del mostro del lago di van.
Nonostante tutto quello che abbiamo passato questa gente continua ancora a stupirci.
Grazie a quest'uomo ritorniamo in città che è ancora giorno, abbiamo tempo per un'altra passeggiata.
Andiamo a vedere l'ulu cami (la moschea principale) grande e con i muri incrinati, immagino dal terremoto. intere lastre di marmo che la ricoprivano saltate via, dentro un enorme tappeto (come in tutte le moschee) ricopre il pavimento, infatti prima di entrare in queste strutture bisogna togliersi le scarpe e sistemarle in appositi scaffali posti fuori l'ingresso.
Luoghi grandi e spogli, a volte tristi a volte semplicemente ''essenziali'' ridotte all'osso al loro interno non c'è niente, nessuna distrazione a cui possa aggrapparsi la fede, non simboli, non statue, nè altari, nè decorazioni, solo una stanza enorme e vuota che impone la sua grandezza.

In fondo è questo l'islam, fede cieca, niente santi, niente, niente preti, qui ci sei solo tu e Lui, un Dio a cui non si cofessa nè chiede nulla, un rapporto diretto per un credo puro che non ha bisogno di nient'altro se non di cieca fede.

Domani partiremo per ritornare a Gaziantep, faremo una fermata a Mardin per la notte e poi da li diretti a casa, è in questa tratta che conosco un camionista curdo che dice di far parte del PKK, mi parla di Ocalan, e mi mostra sul telefonino il video di un cadavere, probabilmente un militante, a terra, sanguinante, circondato da soldati turchi che entusiasti tengono a filmare la scena col cadavere.
Quante guerre e quanti morti dovrà vedere ancora questa terra?

martedì 5 febbraio 2013

L'accoglienza a Van (part.3)



Oggi è un giornata grigia, a tratti piove, il cielo è basso come un coperchio pronto a calare su noi.
Sotto casa ci sono stati dei litigi, incomprensioni, abbiamo corpo e mente stanchi, lo stress si fa sentire e la nostra pazienza inizia ad incrinarsi, non abbiamo un posto dove andare nè sappiamo cosa fare.

In questi giorni è festa, tutto è chiuso e le strade son deserte.
Abbiamo dei numeri da contattare  e un indirizzo ma non un telefono con cui poter chiamare nè una mappa con cui poterci orientare.
Chiediamo a tutti i passanti che incrociamo, nessuno sa dove sia.
Tra i tanti, fermo un gruppo di ragazzi, anche loro non sanno dov'è la via, ma decidono di aiutarci a tutti i costi, chiamano i numeri che abbiamo segnato ma nessuno risponde.
Quando apprendono che siamo in cerca di un posto in cui riposare si organizzano e si dividono in gruppi, noi andiamo con alcuni di loro, ci portano a mangiare mentre gli altri girano la città chiedendo ovunque e cercando un posto in cui farci dormire.
Finito l'abbondante pranzo, (consistente in un enorme panino con dentro piccole polpette fritte dette
köfte, pomodori, cetrioli, prezzemolo e spezie piccanti) prendono le nostre borse e ci accompagnano in un hotel trovato li vicino, hanno convito il proprietario a farci uno sconto, ma sarà solo per oggi, domani sono sicuri di poterci trovare un posto migliore.
Ci lasciano per farci riposare con la promessa di vederci l'indomani e fare insieme un giro in città e dopo andare a pranzo da loro in occasione del
kurban bayramı.
Posiamo le borse, ci sistemiamo, ma invece di riposare scappiamo via per visitare la città, abbiamo tutta la notte per dormire e non possiamo permetterci di sprecare un giorno nonostante la stanchezza si faccia sentire.
Non proprio puntualissimi l'indomani vengono a prenderci.
Andiamo a fare colazione sulla strada che porta al castello, facciamo amicizia e ci raccontano di essere autisti di minibus o strilloni ( per ogni autobus c'è qualcuno che come in un mercato, urla per strada il nome delle città in cui ferma il bus).
Finita l'abbondante colazione ci dirigiamo verso il grande castello di Van, restaurato brutalmente di fresco, in maniera invasiva.
Ci divertiamo un sacco, tante risate e tante foto, il castello è grande, domina tutta la città e vi si può ammirare un meraviglioso e variegato paesaggio tra cime montuose spruzzate di bianco e il turchino lago di Van, che sembra un mare.
Finito il lungo giro del castello ci dirigiamo a piedi verso casa loro, per pranzare come la tradizione del
kurban bayramı vuole, prima ovviamente conosciamo tutta la famiglia e poi aspettiamo in salotto che il pranzo (ormai diventato cena) sia pronto, stendono una tovaglia sopra il tappeto e apparecchiano con tante leccornie, tra cui oltre l'immancabile riso e l'onnipresente carne di pollo, si fa spazio anche un po' di carne d'agnello.
Anche qui ci divertiamo e scherziamo molto, infinite serie di foto e finita la cena andiamo via, sempre in loro compagnia, ci hanno preparato una sorpresa.
La famiglia ci saluta con calorosi arrivederci.
ci portano ad un angolo di strada e aspettiamo, è già buio da un po' ma non è tardi, chiediamo ma loro ci dicono trepidanti di aspettare, fino a quando dalla strada arriva un minibus con la radio a tutto volume che con un inversione ad U si ferma d'avanti a noi, sono gli altri ragazzi che erano andati via una decina di minuti prima, saliamo su con la radio al massimo che (non so perchè) riproduce sempre la stessa canzone,  ci fermiamo e andiamo correndo ad un incrocio in cui si sta festeggiando una festa nuzziale ci infiltriamo, balliamo per un po' ma quando si accorgono della nostra presenza scappiamo subito via, serata indimenticabile fino alla fine quando, dopo aver contattato un couchsurfer disposto ad ospitarci, ci assicurano e in un certo modo impongono che
prima hanno bisogno di capire se è una persona per bene, in caso contrario rimarremmo a casa loro.
La scena a cui assistii farebbe invidia ai migliori film:
Il nostro bus accosta in un vicolo secondario buio ed isolato, aspettiano tutti dentro che l'uomo giusto arrivi, le luci arancioni e soffuse dei pochi lampioni che illuminano la zona servono a stento a delineare le ombre di chi si muove fuori in strada.
Quando capiscono che la persona che aspettavamo si avvicina scendono velocemente e ci raccomandano di star dentro, lo circondano e con aria intimidatoria iniziano a fargli domande, ma lui appare tranquillo e riesce a passare l'esame.
Rassicurati che sia uno di cui potersi fidare ci salutiamo con affetto, come amici di lunga data, e come ormai ci è d'abitudine infinita gratitudine per tutto quello che hanno fatto per noi.
hanno trasformato con la loro allegria e disponibilità quello che stava per diventare un incubo in dei giorni indimenticabili.