lunedì 17 dicembre 2012

Diyarbakır, la città assediata.


Finita la settimana a Mardin, inizia il kurban bayramı, una festa per ricordare il sacrificio di Abramo che viene messo alla prova e deve sacrificare suo figlio Isacco, fermato poco prima del colpo di grazie, un Ariete viene ucciso al posto del figlio, per volere di Allah.
E' una delle feste più importanti qui in turchia, la tradizione vuole che ogni famiglia sacrifichi un agnello o una capra, la si divida in 3 parti e ne si doni la prima ai poveri, la seconda agli ospiti e la terza usata per la famiglia.
Per questa festa decido di spostarmi ancora più verso Est,  a Van e verso il suo leggendario lago, poco distante dal confine con l'Iran.
Vado in autostop fino a Diyarbakır, bagnata dal fiume Tigri, è la città con la maggior presenza di curdi in turchia e dove il turco nella maggior parte dei casi è sostituito dal curdo. Non a caso da molti è definita la capitale del curdistan turco.
In questa città si capisce subito quanto il governo di Ankara abbia paura della situazione curda in turchia.
Addentrandocisi si ha la sensazione di essere in una città sotto assedio, basi militari sono ovunque, così come posti di blocco e pattuglie, mattina e pomeriggio decollano dall'aereoporto militare non lontano da qui, dei caccia seguiti dal loro assordante rumore.
Forse si vuol far ricordare sempre a tutti chi è che comanda, chi è la vera autorità in Turchia.
Sto qui solo mezza giornata, ma l'ambiente è vitale, giro un po' senza allontanarmi troppo dal centro circondato dalla vecchia cinta muraria in basalto nero della città, lunga 6 km, mi dicono che è seconda solo alla muraglia cinese.

Vago tra le viuzze ma appena cala il buio la città si fa inquietante, strane ombre si muovo in silenzio negli angoli più bui, molti mi sconsigliano questo o quel vicolo, tornando indietro sconfortato vengo fermato dal proprietario di una sala da te, mi invita a sedermi con lui, parla inglese e mi offre un çai, si chiacchiera e si scherza insieme ad un suo amico fabbro, è sporco e nero, si è preso una pausa per stare con noi, giochiamo a tabla, poi ritorna a lavoro, è una persona che mi incuriosisce molto e voglio vedere dove lavora.
Si arriva nella sua officina tramite uno stretto corridoio buio, lavora in quella che una volta era la stanza di una casa, non c'è il tetto solo dei pannelli che a stento serviranno per coprirsi dal sole ma sicuramente inutili con la pioggia, i muri sono crollati per metà e adesso dentro vi sono solo macerie e attrezzi del mestiere, il resto della casa è crollato poco più in la.
La luce fredda e flebile di un neon illumina le scale in ferro che sta facendo.
E' un lavoro faticoso mi dice, lavora fino a tardi, e penso a mio padre, una volta fabbro anche lui.
Ha una trentina d'anni ma ne dimostra venti in più, lo saluto calorosamente; mangio qualcosa e mi congedo anche dal proprietario della sala da tè.
In tarda serata parte il bus che dovrà portarmi a Van ma non ho idea di come arrivare alla stazione degli autobus, l'uomo che mi dette un passaggio fino in centro mi aveva pure dato appuntamento per le 20, è la mia unica speranza, aspetto, aspetto fino a quando un uomo, incuriosito, mi chiede che faccio lì seduto al freddo, si offre di chiamare, l'uomo aveva scordato l'appuntamento ma dice che sarà qui in 15 min, arriva puntuale e mi accompagna fino alla stazione dei bus.
parto, il viaggio è lunghetto e spero di riuscire a riposare un po', domani sarò a Van.
Anche in questo viaggio la gentilezza e l'ospitalità turca mi hanno salvato, ogni volta mi chiedo come è possibile e penso che tutto ciò sarebbe quasi impossibile in Italia, riparto sempre pieno di gratitudine per chi in un modo o nell'altro mi ha aiutato senza voler nulla in cambio, senza conoscermi.
rimango sempre stupito da questa società che nonostante stia per esser pian piano ingoiata dal capitalismo che avanza, è ancora retta da antichi valori di ospitalità e lealtà.
questo è quello che ultimamente mi fa riflettere sulle grandi differenze tra cultura occidentale e orientale.

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