Parte da Diyarbakır in tarda
serata il bus che porta a van, il viaggio è lungo, la notte è buia e fuori dal
finestrino nulla.
Cerco invano la posizione più comoda per dormire poi cedo alla stanchezza, un crollo del corpo e della mente.
Arrivo in città poco prima del sorgere del sole, fa freddo ed ha appena smesso di piovere, tutto è grigio, la stazione dei bus è semideserta, buia, alcuni vetri sono rotti, le persone camminano piano, a testa bassa e in silenzio, sembrano anime che vagano aspettando qualcosa, c'è silenzio, l'unico suono che avvolge tutto è il rumore dei motori accesi dei bus, tutto ha l'aspetto di un luogo abbandonato.
Mi metto qualcosa di più pesante addosso, zaino in spalla e si ricomincia, in strada c'è poca gente e tutto è chiuso, è ancora troppo presto, ho appuntamento alle 10 in un locale con l'uomo che mi dovrà ospitare, lo șiir cafè (caffè poesia), vago per un po' chiedendo informazioni, ma sono ancora le 6 del mattino.
Entro in una sala da çay per riscaldarmi un po', mi accorgo dopo che a porte e finestre mancano i vetri.
Il proprietario è un uomo alto e baffuto con una grande pancia, è simpatico e mi accoglie calorosamente, aspetto li ore ed ore, il terzo çay mi viene offerto da lui, con cui ormai ho stretto amicizia.
Il caffè apre 2 ore dopo l'orario previsto, e aspetto ancora.
Per ingannare il tempo gioco a tabla con i miei compagni, giochiamo per ore, fino a quando non arriva. ci mettiam d'accordo, poso la borsa e vado a fare un giro in città, il sole è alto e si sta bene, la città è tutt'altro che morta, c'è tanta vitalità per le strade, la gente corre tra le bancarelle che coprono entrambi i lati delle strade, c'è un'atmosfera vagamente natalizia.
Il furgone di un partito curdo urla dai megafoni qualcosa, due persone da dentro salutano la gente entusiasta in strada.
Cerco invano la posizione più comoda per dormire poi cedo alla stanchezza, un crollo del corpo e della mente.
Arrivo in città poco prima del sorgere del sole, fa freddo ed ha appena smesso di piovere, tutto è grigio, la stazione dei bus è semideserta, buia, alcuni vetri sono rotti, le persone camminano piano, a testa bassa e in silenzio, sembrano anime che vagano aspettando qualcosa, c'è silenzio, l'unico suono che avvolge tutto è il rumore dei motori accesi dei bus, tutto ha l'aspetto di un luogo abbandonato.
Mi metto qualcosa di più pesante addosso, zaino in spalla e si ricomincia, in strada c'è poca gente e tutto è chiuso, è ancora troppo presto, ho appuntamento alle 10 in un locale con l'uomo che mi dovrà ospitare, lo șiir cafè (caffè poesia), vago per un po' chiedendo informazioni, ma sono ancora le 6 del mattino.
Entro in una sala da çay per riscaldarmi un po', mi accorgo dopo che a porte e finestre mancano i vetri.
Il proprietario è un uomo alto e baffuto con una grande pancia, è simpatico e mi accoglie calorosamente, aspetto li ore ed ore, il terzo çay mi viene offerto da lui, con cui ormai ho stretto amicizia.
Il caffè apre 2 ore dopo l'orario previsto, e aspetto ancora.
Per ingannare il tempo gioco a tabla con i miei compagni, giochiamo per ore, fino a quando non arriva. ci mettiam d'accordo, poso la borsa e vado a fare un giro in città, il sole è alto e si sta bene, la città è tutt'altro che morta, c'è tanta vitalità per le strade, la gente corre tra le bancarelle che coprono entrambi i lati delle strade, c'è un'atmosfera vagamente natalizia.
Il furgone di un partito curdo urla dai megafoni qualcosa, due persone da dentro salutano la gente entusiasta in strada.
Oggi è
l'anniversario del terremoto che distrusse la città un anno fa, nel parco
principale, dietro la statua del gatto di van e del mostro del lago, c'è una
mostra fotografica per ricordarlo, un terremoto che rase al suolo mezza città o
più e fece svariate vittime, c'è molta gente, le foto sono belle, ma basta
guardarsi intorno, osservare i palazzi o quel che ne rimane per ricordare
davvero cosa successe, la città è semidistrutta, un sacco di edifici sono
crollati, altri sono in fase di ''restauro'' che è più un rattoppo dei buchi. mi
stendo in una panchina e mi addormento al caldo sole del primo pomeriggio.
mi sveglio con l'arrivo delle nuvole e del freddo, faccio un altro giro, e ritorno al locale.
devo aspettare che chiuda per andare a casa e riposare.
ricominciamo a giocare a tavla (il nostro backgammon), fino a notte inoltrata.
poi arriva un amico del proprietario del locale, ci dividiamo in 2 gruppi, io vado a casa di questo ragazzo, prendiamo un bus, ma è notte e non vedo esattamente dove sto andando, piove molto forte.
percorriamo un po' di sterrato a piedi sotto la pioggia, seguendo una fila di case tutte al buio, come la strada del resto.
Entriamo in questa casa dal tetto in lamiera, che quando piove si trasforma in un tamburo battuto da migliaia di gocce di pioggia, non c'è luce, non ci sono letti, non c'è nulla, ci danno dei materassi e delle coperte calde e pesanti, porte e finestre non chiudono bene e l'aria entra a folate, ma sotto le coperte è caldo e con la stanchezza accumulata credo di poter dormire ovunque.
Punto la sveglia, domani ho appuntamento con gli altri.
Il mattino è grigio, fuori piove ancora, dormono tutti quando mi sveglio, scopro che loro hanno dormito nel corridoio, abbracciati anche loro sotto pesanti coperte, hanno dato la stanza buona a noi.
Vado in bagno, non c'è acqua calda, né doccia. mi lavo pian piano con una ciotola con cui mi verso l'acqua fredda addosso, la finestra è senza vetri, mi vesto in fretta e vado a sistemare la borsa, senza svegliare nessuno vado via, ripercorro la strada di ieri, pioviggina ma adesso vedo che quella fila di case di cui ieri distinguevo solo i profili neri contro le nuvole arancio, sono case danneggiate dal terremoto, alcune abbandonate altre rattoppate come meglio si può, probabilmente perchè la gente non ha altri posti dove andare e una casa, anche se mezza distrutta è sempre meglio di una tenda o di un container spacciato per casa e messo a disposizione ''momentaneamente'' ai terremotati.
c'è una donna col velo che cammina sola sotto la pioggia spingendo una carriola.
mi rendo conto di quanto quel terremoto sia stato distruttivo e quanto abbia cambiato le vite di tutti gli abitanti di Van, mi chiedo quanta forza ci voglia per continuare a vivere, pensando di aver perso tutto quel che si aveva, e mi rendo conto di quanto futile sia a volte la nostra vita, di quanto ormai la società cosiddetta moderna abbia perso il normale rapporto con la realtà, e che basta niente per distruggere tutte le certezze sulle quali costruiamo, come sulle più solide basi, la nostra vita.
mi sveglio con l'arrivo delle nuvole e del freddo, faccio un altro giro, e ritorno al locale.
devo aspettare che chiuda per andare a casa e riposare.
ricominciamo a giocare a tavla (il nostro backgammon), fino a notte inoltrata.
poi arriva un amico del proprietario del locale, ci dividiamo in 2 gruppi, io vado a casa di questo ragazzo, prendiamo un bus, ma è notte e non vedo esattamente dove sto andando, piove molto forte.
percorriamo un po' di sterrato a piedi sotto la pioggia, seguendo una fila di case tutte al buio, come la strada del resto.
Entriamo in questa casa dal tetto in lamiera, che quando piove si trasforma in un tamburo battuto da migliaia di gocce di pioggia, non c'è luce, non ci sono letti, non c'è nulla, ci danno dei materassi e delle coperte calde e pesanti, porte e finestre non chiudono bene e l'aria entra a folate, ma sotto le coperte è caldo e con la stanchezza accumulata credo di poter dormire ovunque.
Punto la sveglia, domani ho appuntamento con gli altri.
Il mattino è grigio, fuori piove ancora, dormono tutti quando mi sveglio, scopro che loro hanno dormito nel corridoio, abbracciati anche loro sotto pesanti coperte, hanno dato la stanza buona a noi.
Vado in bagno, non c'è acqua calda, né doccia. mi lavo pian piano con una ciotola con cui mi verso l'acqua fredda addosso, la finestra è senza vetri, mi vesto in fretta e vado a sistemare la borsa, senza svegliare nessuno vado via, ripercorro la strada di ieri, pioviggina ma adesso vedo che quella fila di case di cui ieri distinguevo solo i profili neri contro le nuvole arancio, sono case danneggiate dal terremoto, alcune abbandonate altre rattoppate come meglio si può, probabilmente perchè la gente non ha altri posti dove andare e una casa, anche se mezza distrutta è sempre meglio di una tenda o di un container spacciato per casa e messo a disposizione ''momentaneamente'' ai terremotati.
c'è una donna col velo che cammina sola sotto la pioggia spingendo una carriola.
mi rendo conto di quanto quel terremoto sia stato distruttivo e quanto abbia cambiato le vite di tutti gli abitanti di Van, mi chiedo quanta forza ci voglia per continuare a vivere, pensando di aver perso tutto quel che si aveva, e mi rendo conto di quanto futile sia a volte la nostra vita, di quanto ormai la società cosiddetta moderna abbia perso il normale rapporto con la realtà, e che basta niente per distruggere tutte le certezze sulle quali costruiamo, come sulle più solide basi, la nostra vita.