domenica 30 dicembre 2012

Un anno dopo il terremoto. Van (part.1)


Parte da Diyarbakır in tarda serata il bus che porta a van, il viaggio è lungo, la notte è buia e fuori dal finestrino nulla.
Cerco invano la posizione più comoda per dormire poi cedo alla stanchezza, un crollo del corpo e della mente.
Arrivo in città poco prima del sorgere del sole, fa freddo ed ha appena smesso di piovere, tutto è grigio, la stazione dei bus è semideserta, buia, alcuni vetri sono rotti, le persone camminano piano, a testa bassa e in silenzio, sembrano anime che vagano aspettando qualcosa, c'è silenzio, l'unico suono che avvolge tutto è il rumore dei motori accesi dei bus, tutto ha l'aspetto di un luogo abbandonato.
Mi metto qualcosa di più pesante addosso, zaino in spalla e si ricomincia, in strada c'è poca gente e tutto è chiuso, è ancora troppo presto, ho appuntamento alle 10 in un locale con l'uomo che mi dovrà ospitare, lo  șiir cafè (caffè poesia), vago per un po' chiedendo informazioni, ma sono ancora le 6 del mattino.
Entro in una sala da çay per riscaldarmi un po', mi accorgo dopo che a porte e finestre mancano i vetri.
Il proprietario è un uomo alto e baffuto con una grande pancia, è simpatico e mi accoglie calorosamente, aspetto li ore ed ore, il terzo çay mi viene offerto da lui, con cui ormai ho stretto amicizia.
Il caffè apre 2 ore dopo l'orario previsto, e aspetto ancora.
Per ingannare il tempo gioco a tabla con i miei compagni, giochiamo per ore, fino a quando non arriva. ci mettiam d'accordo, poso la borsa e vado a fare un giro in città, il sole è alto e si sta bene, la città è tutt'altro che morta, c'è tanta vitalità per le strade, la gente corre tra le bancarelle che coprono entrambi i lati delle strade, c'è un'atmosfera vagamente natalizia.
Il furgone di un partito curdo urla dai megafoni qualcosa, due persone  da dentro salutano la gente entusiasta in strada.

Oggi è l'anniversario del terremoto che distrusse la città un anno fa, nel parco principale, dietro la statua del gatto di van e del mostro del lago, c'è una mostra fotografica per ricordarlo, un terremoto che rase al suolo mezza città o più e fece svariate vittime, c'è molta gente, le foto sono belle, ma basta guardarsi intorno, osservare i palazzi o quel che ne rimane per ricordare davvero cosa successe, la città è semidistrutta, un sacco di edifici sono crollati, altri sono in fase di ''restauro'' che è più un rattoppo dei buchi. mi stendo in una panchina e mi addormento al caldo sole del primo pomeriggio.
mi sveglio con l'arrivo delle nuvole e del freddo, faccio un altro giro, e ritorno al locale.
devo aspettare che chiuda per andare a casa e riposare.
ricominciamo a giocare a tavla (il nostro backgammon), fino a notte inoltrata.
poi arriva un amico del proprietario del locale, ci dividiamo in 2 gruppi, io vado a casa di questo ragazzo, prendiamo un bus, ma è notte e non vedo esattamente dove sto andando, piove molto forte.
percorriamo un po' di sterrato a piedi sotto la pioggia, seguendo una fila di case tutte al buio, come la strada del resto.
Entriamo in questa casa dal tetto in lamiera, che quando piove si trasforma in un tamburo battuto da migliaia di gocce di pioggia, non c'è luce, non ci sono letti, non c'è nulla, ci danno dei materassi e delle coperte calde e pesanti, porte e finestre non chiudono bene e l'aria entra a folate, ma sotto le coperte è caldo e con la stanchezza accumulata credo di poter dormire ovunque.
Punto la sveglia, domani ho appuntamento con gli altri.
Il mattino è grigio, fuori piove ancora, dormono tutti quando mi sveglio, scopro che loro hanno dormito nel corridoio, abbracciati anche loro sotto pesanti coperte,  hanno dato la stanza buona a noi.
Vado in bagno, non c'è acqua calda, né doccia. mi lavo pian piano con una ciotola con cui mi verso l'acqua fredda addosso, la finestra è senza vetri, mi vesto in fretta e vado a sistemare la borsa, senza svegliare nessuno vado via, ripercorro la strada di ieri, pioviggina ma adesso vedo che quella fila di case di cui ieri distinguevo solo i profili neri contro le nuvole arancio, sono case danneggiate dal terremoto, alcune abbandonate altre rattoppate come meglio si può, probabilmente perchè la gente non ha altri posti dove andare e una casa, anche se mezza distrutta è sempre meglio di una tenda o di un container spacciato per casa e messo a disposizione ''momentaneamente'' ai terremotati.
c'è una donna col velo che cammina sola sotto la pioggia spingendo una carriola.
mi rendo conto di quanto quel terremoto sia stato distruttivo e quanto abbia cambiato le vite di tutti gli abitanti di Van, mi chiedo quanta forza ci voglia per continuare a vivere, pensando di aver perso tutto quel che si aveva, e mi rendo conto di quanto futile sia  a volte la nostra vita, di quanto ormai la società cosiddetta moderna abbia perso il normale rapporto con la realtà, e che basta niente per distruggere tutte le certezze sulle quali costruiamo, come sulle più solide basi, la nostra vita.


lunedì 17 dicembre 2012

Diyarbakır, la città assediata.


Finita la settimana a Mardin, inizia il kurban bayramı, una festa per ricordare il sacrificio di Abramo che viene messo alla prova e deve sacrificare suo figlio Isacco, fermato poco prima del colpo di grazie, un Ariete viene ucciso al posto del figlio, per volere di Allah.
E' una delle feste più importanti qui in turchia, la tradizione vuole che ogni famiglia sacrifichi un agnello o una capra, la si divida in 3 parti e ne si doni la prima ai poveri, la seconda agli ospiti e la terza usata per la famiglia.
Per questa festa decido di spostarmi ancora più verso Est,  a Van e verso il suo leggendario lago, poco distante dal confine con l'Iran.
Vado in autostop fino a Diyarbakır, bagnata dal fiume Tigri, è la città con la maggior presenza di curdi in turchia e dove il turco nella maggior parte dei casi è sostituito dal curdo. Non a caso da molti è definita la capitale del curdistan turco.
In questa città si capisce subito quanto il governo di Ankara abbia paura della situazione curda in turchia.
Addentrandocisi si ha la sensazione di essere in una città sotto assedio, basi militari sono ovunque, così come posti di blocco e pattuglie, mattina e pomeriggio decollano dall'aereoporto militare non lontano da qui, dei caccia seguiti dal loro assordante rumore.
Forse si vuol far ricordare sempre a tutti chi è che comanda, chi è la vera autorità in Turchia.
Sto qui solo mezza giornata, ma l'ambiente è vitale, giro un po' senza allontanarmi troppo dal centro circondato dalla vecchia cinta muraria in basalto nero della città, lunga 6 km, mi dicono che è seconda solo alla muraglia cinese.

Vago tra le viuzze ma appena cala il buio la città si fa inquietante, strane ombre si muovo in silenzio negli angoli più bui, molti mi sconsigliano questo o quel vicolo, tornando indietro sconfortato vengo fermato dal proprietario di una sala da te, mi invita a sedermi con lui, parla inglese e mi offre un çai, si chiacchiera e si scherza insieme ad un suo amico fabbro, è sporco e nero, si è preso una pausa per stare con noi, giochiamo a tabla, poi ritorna a lavoro, è una persona che mi incuriosisce molto e voglio vedere dove lavora.
Si arriva nella sua officina tramite uno stretto corridoio buio, lavora in quella che una volta era la stanza di una casa, non c'è il tetto solo dei pannelli che a stento serviranno per coprirsi dal sole ma sicuramente inutili con la pioggia, i muri sono crollati per metà e adesso dentro vi sono solo macerie e attrezzi del mestiere, il resto della casa è crollato poco più in la.
La luce fredda e flebile di un neon illumina le scale in ferro che sta facendo.
E' un lavoro faticoso mi dice, lavora fino a tardi, e penso a mio padre, una volta fabbro anche lui.
Ha una trentina d'anni ma ne dimostra venti in più, lo saluto calorosamente; mangio qualcosa e mi congedo anche dal proprietario della sala da tè.
In tarda serata parte il bus che dovrà portarmi a Van ma non ho idea di come arrivare alla stazione degli autobus, l'uomo che mi dette un passaggio fino in centro mi aveva pure dato appuntamento per le 20, è la mia unica speranza, aspetto, aspetto fino a quando un uomo, incuriosito, mi chiede che faccio lì seduto al freddo, si offre di chiamare, l'uomo aveva scordato l'appuntamento ma dice che sarà qui in 15 min, arriva puntuale e mi accompagna fino alla stazione dei bus.
parto, il viaggio è lunghetto e spero di riuscire a riposare un po', domani sarò a Van.
Anche in questo viaggio la gentilezza e l'ospitalità turca mi hanno salvato, ogni volta mi chiedo come è possibile e penso che tutto ciò sarebbe quasi impossibile in Italia, riparto sempre pieno di gratitudine per chi in un modo o nell'altro mi ha aiutato senza voler nulla in cambio, senza conoscermi.
rimango sempre stupito da questa società che nonostante stia per esser pian piano ingoiata dal capitalismo che avanza, è ancora retta da antichi valori di ospitalità e lealtà.
questo è quello che ultimamente mi fa riflettere sulle grandi differenze tra cultura occidentale e orientale.

giovedì 6 dicembre 2012

Mardin, osservatorio della storia.


Nel primo pomeriggio parto in bus per Mardin, arrivo in città in tarda serata, sono nel lato nuovo, brutti palazzi uguali a quelli che si vedono in tutte le città turche.
Sono qui per uno street art festival, mi ospiteranno per una settimana e si dovrà andare in giro per le scuole elementari a portare un po' di musica e colore.
Con il taxi attraverso la piccola città, d'un tratto i palazzi nuovi finiscono ed inizia la città vecchia, luci calde illuminano i muri di pietra bianca; tutta in salita la cittadina si sviluppa su un'alta collina che domina la mesopotamia,  nei giorni più limpidi si riesce a vedere la Siria, sono contento di poter vivere in centro.
Il palazzo dell'associazione è un edificio storico, molto ben mantenuto, probabilmente restaurato da poco. Ad accogliermi c'è una lunga tavola imbandita piena di gente che viene da posti diversi, la maggioranza da Istanbul, poi iraniani, spagnoli, francesi e così via, l'ambiente è ricco, salubre e amichevole, il paesaggio è fantastico e, cosa fondamentale, la cena è ottima.
Il giorno dopo, dopo un'abbondante colazione alla turca, (che rimpiango ancora oggi, fatta da 2 tipi di formaggi, insalata di pomodori e cetrioli, succhi di frutta, pane e focacce, uova, miele, crema di cioccolato, burro, olive verdi e nere, frutta e l'immancabile çai (tè)).  

Partiamo con 2 bus per le scuole,  tristi e spoglie, ai muri sono appesi disegni di cruente battaglie con guerrieri che si uccidono a vicenda, foto di paesaggi turchi e l'onnipresente Ataturk.
I bambini sono entusiasti e allo stato brado, tutti incredibilmente ossessionati dal calcio, il primo giorno, ho chiesto loro di disegnare qualcosa, a parte qualche meravigliosa casa con i fiori, ho ricevuto solo cuori con i colori del galatasaray o del fenerbahçe.
Il giorno dopo ho iniziato a dipingere i loro volti, anche qui innumerevoli richieste dei colori della propria squadra sulla guancia, la speranza va ai più piccoli che rimangono ancora affascinati dal disegno del leone (Aslan).
Le maestre sono giovani e carine, probabilmente hanno iniziato a lavorare subito dopo l'università,  e non sono in grando di domare i loro alunni.
Il pranzo alla mensa è scadente, riso in bianco e salsa con fagioli, le posate sono incrostate ma la frutta è fresca.
la cittadina di Mardin è magica e imperdibile, le case sono letteralmente aggrappate alla collina su cui sono costruite e dominate da un castello. Città mista di culture vi si trovano chiese, moschee e antiche università, interessante anche il palazzo delle poste che purtroppo era in fase di restauro, anche qui però sono riuscito ad entrare scambiando quattro ''chiacchiere'' con il guardiano. La gente parla arabo, turco e curdo senza problemi, e tutti vivono tranquillamente insieme.
Di qui sono famosi i saponi fatti a mano e l'innumerevole quantità  di caramelle/confetti di frutta secca e zucchero fatti in miriadi di modi diversi e messi in grandi ceste, si possono assaggiare e scegliere con tranquillità.
Ho passato serate a sgranocchiare mandorle, noci e noccioline datemi dai venditori stessi che di esse mi riempivano le mani.
Sono ancora più convinto che l'oriente, inizia ad est di Antep subito dopo l'Eufrate.
Il tempo scorre in maniera diversa, non ha fretta, la vita è scandita dai ritmi della natura, mi sembra di stare indietro di un centinaio di anni, e mi sento a casa.
Il Cielo qui ha un colore diverso, più puro, profondo e sincero, un colore che non avevo mai visto.
E' attraversando questi posti, guardando dal tetto dell'università la mesopotamia che dorme al tramonto, culla della civiltà, che mi sento addosso l'importanza della storia, ha visto passare migliaia e migliaia di anni, vi si son parlate decine di lingue diverse ed è stata attraversata da infinite genti, tanti vi son nati e tanti vi son morti guerre e sangue, pace e civiltà, eppure è ancora li come se il tempo non fosse mai passato, anche oggi un'altra guerra si svolge sulle sue membra e lei immobile aspetta che tutto passi, perchè ciò che è umano non sarà mai eterno, lo sa bene lei che giace li da sempre.